Sabato 16 ore 18.00
Salottino della Piccola Libreria di Levico Terme
La Cina del Grande balzo in avanti (1958-1962): carestia, cannibalismo, morte.
Fernando Orlandi, fondatore e direttore della biblioteca-archivio del Centro studi sulla storia dell’Europa orientale (Csseo) commenta l’edizione italiana del libro di YANG JISHENG “LAPIDI La Grande Carestia in Cina”
(Adelphi, 2024, traduzione di Natalia Francesca Riva, pp. 836)
Yang Jisheng è un giornalista cinese nato nella provincia di Hubei nel 1940, figlio di uno delle decine di milioni di vittime – ne stima circa 36 milioni, a cui vanno aggiunti circa 40 milioni di nascite in meno – dell’utopia comunista di Mao Zedong. Il titolo del libro (scritto nel 2008 e tradotto solo oggi da Adelphi ) è un omaggio al padre: una lapide per servire da monito alle generazioni future.
A causare la Grande carestia sono stati il sistema altamente centralizzato che aveva come perno l’economia pianificata e il sistema totalitario in cui si sommavano caratteristiche della tradizionale monarchia cinese e del dispotismo staliniano. All’epoca dell’autoritarismo dinastico, a causa dell’arretratezza dei trasporti e delle comunicazioni, era molto difficile che il potere imperiale toccasse profondamente ogni angolo del paese. Al tempo di Mao Zedong, grazie alle armi moderne, ai mezzi di trasporto moderni, alle moderne tecnologie della comunicazione e ai pervasivi metodi organizzativi, il potere dello Stato arrivava a toccare ogni villaggio di campagna lontano dal centro e ogni angolo tra le montagne e i campi.
La comune popolare di Fanhe, a Tieling, provincia del Liaoning, nel contesto della ricerca di cereali, aveva proposto gli slogan: “Nascondere un chicco di grano è come nascondere un proiettile” e “se non si ha la forza di uccidere, allora non si può comprare cereali”.
Quando ci fu la riunione dei quadri delle squadre di produzione a Yaowangmiao, il capo della squadra n. 1, Liu Chunlin, era ammalato e non ci andò. Un certo Xu lo fece trascinare sul posto con un carretto, per “discutere”. Xu chiese a Liu: “La squadra ha fatto un grande balzo in avanti?” Liu non potè far altro che rispondere: “Ha fatto un grande balzo in avanti”. Xu chiese ancora: “Le comuni popolari sono superiori o no?” Liu rispose: “Sono superiori”. Xu proseguì con ansia: “Allora perché tu non prendi i cereali?” Il quadro responsabile dell’acquisto dei cereali An Yuqing costrinse il membro della comune Li Molin a tornare a casa a prendere 70 jin (35 kg) di cereali e poi lo fece tornare indietro a prenderne ancora. Li disse che ciò equivaleva a mettere a repentaglio vite umane e perciò An lo accusò di “voler sabotare il movimento per i cereali”.
A Xinyang i contadini affamati vedevano i cereali conservati nei granai e, seduti a fianco dei depositi, urlavano: “Partito comunista, Presidente Mao Zedong, salvateci!” Alcune persone morirono di fame accanto ai granai. La cosa più paradossale fu che mentre milioni di persone morivano di fame, la Cina esportava grandi quantità di alimenti.
Il Comitato di partito della prefettura di Xinyang fece confiscare agli uffici postali più di 12.000 lettere di richiesta d’aiuto. In una cellula di partito dove erano morti di fame 20 membri su 23, i 3 superstiti avevano inviato una lettera scritta col sangue al Comitato di partito della provincia implorandolo di salvare i contadini. Come tutte le altre, anche questa lettera venne confiscata dal capo della segretaria del Comitato di partito della provincia che ordinò altresì l’apertura di un’inchiesta. Per evitare che i contadini affamati potessero fuggire e divulgare informazioni, i punti di accesso ad ogni contea venivano pattugliati da guardie armate, lungo le strade principali vennero istituiti posti di blocco, le fermate degli autobus venivano sorvegliate dalla polizia e le corriere a lunga percorrenza potevano essere guidate solo da membri del partito. Ogni comune popolare inviò la propria milizia popolare alle porte dei villaggi per istituire posti di blocco. Se qualcuno veniva scoperto nel tentativo di scappare, gli venivano confiscati tutti i possedimenti, gli venivano strappati i vestiti di dosso e lo si picchiava.
Un membro della comune, Bai Yinu, mangiò 8 cadaveri tra i quali quello del padre, della moglie e della figlia, i corpi di tre generazioni. Un contadino povero della comune popolare di Qiezang, Ma Abudu, in punto di morte diede alla figlia Ma Hasufei le seguenti istruzioni: “Sul mio corpo non c’è più carne, dopo la mia morte puoi estrarre il mio cuore e mangiarlo”. Dopo che Ma morì, la figlia tirò fuori il cuore dal suo corpo, lo fece bollire e lo mangiò. Presso la squadra di produzione di Tuanjie, nella stessa comune popolare, il contadino povero Ma Yibula e sua moglie uccisero e mangiarono la figlia di quattordici anni e dopo che il marito morì la moglie ne mangiò il cadavere.
LA SINOSSI DEL LIBRO (dal sito Adelphi)
Alla fine di aprile del 1959 uno studente della contea cinese di Xishui viene avvisato delle condizioni disperate in cui versa il padre adottivo: lo raggiunge al più presto e lo trova a letto, «gli occhi incavati e spenti», la mano scheletrica che abbozza a stento un cenno di saluto. Ormai incapace di deglutire anche solo una zuppa di riso, morirà tre giorni dopo. In un primo momento Yang Jisheng non ha esitazioni: si tratta di una tremenda, inevitabile sventura. La cieca obbedienza che gli è stata inculcata non lascia spazio a dubbi o critiche, e non lo sfiora neppure l’idea che il governo e il Grande Balzo in avanti propagandato in quegli anni possano essere la causa della sua perdita. La fedeltà al partito si incrinerà con la Rivoluzione culturale, e nei primi anni Novanta, ormai consapevole dell’amnesia storica cui il potere condanna i cinesi, Yang Jisheng comincerà a indagare, a interrogare documenti, a raccogliere testimonianze. Scoprirà che la carestia di cui il padre è rimasto vittima ha ucciso in Cina, tra il 1958 e il 1962, 36 milioni di persone, ridotte a cibarsi di paglia di riso, guano di airone, topi ed erbe selvatiche – quando non di cadaveri. Un eccidio immane la cui responsabilità va attribuita non già a «tre anni di disastri naturali», bensì alla scelta deliberata di sacrificare ai ceti protagonisti dell’«industrializzazione» in corso la popolazione delle aree agricole, sequestrandone la produzione, le case, gli appezzamenti, il bestiame. Il libro che Yang Jisheng va scrivendo diventerà così qualcosa di ben diverso dalla pur accurata ricostruzione di una carneficina: la spietata, minuziosa, memorabile radiografia della criminale irresponsabilità di un sistema teocratico in cui Mao Zedong è l’incarnazione stessa della verità universale.